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POESIE
Casanova
Blues e Monologo di un’amante di Casanova
Dieci volte
addolorato (La Decalogia del Dolore)
Incontri notturni negli oscuri parcheggi faentini
Al largo
andremo ancora
Dan
>LISTA IN AGGIORNAMENTO<
Caspita, mamma, è tornata la guerra
e adesso non c’è più scampo…
No, cara mamma, sarà impossibile questa
volta uscirne;
la mia bimba dorme sotto un lenzuolo
macchiato di sangue
e sono costretto a imbracciare il
fucile:
ogni volta che sparerò un colpo
giuro, sergente, lo farò per lei, solo
per lei
In tempi di guerra, è molto difficile
campare
se non sei sicuro di aver colpi in
canna
Beh, in questi giorni di rovina che
ammazzano il sonno,
è quasi impossibile sopravvivere
se il tuo fucile è scarico e le
munizioni son finite;
sergente, la prego, mi aiuti lei:
conceda a questo povero disgraziato
un’altra scatola di cartucce
Tesoro, io lo so che il blues è fatto
di centralini occupati
Sì, amore, so benissimo che tutta
questa dannata pioggia di blues
non è altro che un insieme di
centralini occupati e linee intasate;
però, accidenti, è mai possibile che un
povero uomo in guerra
non debba mai ricevere una telefonata?
Sergente, la scongiuro, mi chiami lei e
camuffi la voce:
se non puoi vedere il volto, puoi
fingere che sia chiunque
Questo bunker sotterraneo in cui mi
occulto dal nemico
è umidiccio, puzza e ha le pareti
ricoperte di una strana roba bianca
Questo sporco, stretto, bunker
sotterraneo
in cui cerco di scordare che il nemico
è sempre in agguato
mi fa rimpiangere la tua calda e
accogliente dimora;
sergente, la prego, mi permetta di
uscire: sono così insoddisfatto,
depresso e ho pure paura di beccarmi
una qualche infezione
Oh, sergente, ho sparato troppi colpi
e adesso sono tanto stanco
Sì, sergente, penso di aver sparato
abbastanza colpi
e credo sia arrivato il momento di
deporre il fucile;
addio, me ne torno sui miei passi col
primo treno del mattino
e strada facendo mediterò su quanta
inutile sofferenza creino le guerre
Cos’hai fatto, tesoro, mentre il tuo
uomo era in guerra?
Su, dimmi
Cos’hai fatto, amore caro, mentre il tuo uomo combatteva in guerra?
Hai fatto quello che ti riesce meglio, furbetta!
Quando tornerò a casa e ti troverò tra le braccia di un altro,
ti sembrerà di aver visto un fantasma;
e forse sarò proprio un fantasma,
tornato dalla tomba per tormentarti in
eterno
Casanova Blues
e Monologo di un’amante di Casanova
CASANOVA BLUES
Nella mia carne brucia eterno
l'amore che ho a voi donne dedicato
la passione dilaniante
dell'Edipo in cerca di una madre
la cui salma naviga per i rii
veneziani, componendo sonetti per le prossime amanti
o riposa quieta dentro ai letti
di cento contesse, in estasi dopo un'ora d'amore
lasciando loro un pezzo della
propria anima, sotto al cuscino;
io ricordo, i volti e i sorrisi
di ogni bimba amata
i lunghi capelli neri di
Eleonora, contro il mio viso...
è strano pensare a come loro
diffondano voci sulle mie qualità e sui miei attributi
ma scordino spesso il colore
dei miei occhi
o le carezze delle mie mani,
sui loro volti vogliosi di eros...
lievi, lievi, lievi carezze per
non far loro del male
loro, i fiori rinchiusi nella
grande serra ch'è il mio cuore
loro...
Sara, Antonella, Maria, Debora,
Selene, Clarissa, Alice
Giulia, che rideva delle mie
facce buffe, mentre mano nella mano
la conducevo, nella calda sera
d'Agosto
e Francesca, la più bella di
tutte, tra le cui braccia ritornavo infante
e baciavo i suoi seni come in
cerca di cibo,
riscoprendo un passato mai
vissuto.
Donne d'Italia, Donne di
Francia, Donne di Russia, Donne di Spagna, Donne d'Europa, Donne del Mondo
io vi ho amate tutte, ad una ad
una, a modo mio
ogni goccia del mio sangue è
ribollita per voi
per Voi
che ora forse vivete di stenti
una triste vita
accanto a un uomo che la notte,
nel letto, vi dà la schiena
e ripensate al mio amore solo
come a una piacevole avventura...
Per Voi e a Voi, Io, Giacomo
Casanova
per sempre dedicherò tutta la
poesia che il mio cuore sa elargire.
MONOLOGO DI UN’AMANTE DI CASANOVA
Nei suoi occhi mi sono
specchiata, e mi son vista donna
donna in grado di capire le
poesie di quel poeta
ho concesso alle sue mani di
toccarmi, di prendermi
ho pregato, e ho supplicato:
oh, mio piccolo giardiniere,
annaffia il fiore
segui il sentiero che porta al
cuore del bosco
non ci sono più rovi, e la via
è sicura adesso
puoi vedere le stelle nel cielo
e ognuna di esse grida il tuo
nome,
nel momento in cui la danza
scatenata
consuma i piedi ai ballerini
e la rosa bianca arrossisce,
per non schiarir mai più...
Ho scelto la tua carne, ho
scelto il tuo sapore
perché tu eri uomo, mentre gli
altri mendicavano
dando calci alla porta della
mia dimora,
quando invece per aprirla,
bastava una carezza...
...l'estasi ha raggiunto il
culmine
la notte non è mai stata così
calda;
amore, il battito del tuo
cuore, d'ora in poi,
scandirà le mie ore future...
E vagando
per corridoi bui
o
cimiteri vuoti a metà novembre
quando la
festa dei morti è ormai finita
e i
parenti sono in pace con l’anima loro
la mia
testa pesante piena di bugie
fatica a
star dietro ai tuoi tradimenti …
… ma non c’è
nessun problema
mi stavo
solo innamorando …
Con una
flebo attaccata al braccio
penso
alla tua bocca lordata da altri
il
pavimento si sta allontanando
mentre
sui muri giallastri come il vomito
stanno
appesi i ritratti dei tuoi dolci amanti;
il sesso
non mente: l’uomo è nato per essere coglione
e la
donna per essere puttana …
… ma non
c’è nessun problema
mi stavo
solo innamorando …
Sveglio
da due giorni
col
fantasma d’un vecchio amico
che non
mi dà pace blaterando e blaterando
di
antichi sposalizi e rapporti fugaci
bruciati
in fretta dietro alla collinetta
di un
campo sportivo, in estate;
avevamo
parlato di matrimonio
ma
matrimonio cosa?
il
matrimonio è il modo in cui una donna
deruba un
uomo …
… ma non
c’è nessun problema
mi stavo
solo innamorando …
Mi presi
la tua verginità
sicuro di
essere io il campione
sicuro
che ti avrei vista per sempre
accucciata
ai miei piedi
ma ho
perso il colpo prima d’andare a segno
e ora
tutte le mie perversioni
se ne
muoiono in un fazzoletto …
… ma non
c’è nessun problema
mi sono
solo innamorato.
25 anni nel cesso
tiriamo lo sciacquone
Faenza non ha voluto
Faenza non ha capito
il suo antipatico cantore
Faenza è troppo presa dagli smerci
sessuali
adesso
porche schifose dai denti cariati
ballano e fanno orge
sulle scale del duomo
le puttane da quattro soldi
(culturalmente formate al Grafico)
appoggiano le schiene nude
contro i graffiti sul muro
del sottoscala ferroviario
e si concedono beate
ridendo, godendo e vomitando sperma
sui loro genitori a casa ad
aspettarle;
le ragazze diventano selvagge
proprio come in un porno
(anzi, meglio!)
si accaldano e si contorcono
si graffiano e si smembrano
si squagliano e si stuprano
che puoi dire più di questo
o antipatico cantore
(falle pese! falle pese!)
le ragazze partono per la caccia
grossa
fanno le turche al parco Bucci
sempre con qualcosa in mano o in
bocca
si spogliano davanti alle
scolaresche
in visita al sabato mattina
poi si tuffano nell’acqua sporca
tra la merda delle anatre
dei cigni, dei pavoni e dei lucci
e urlano sboccate
“Chi viene a farsi un bagno con me?
Lavoro sodo, costo poco e sto
zitta!”
Le ragazze sono sempre più selvagge!
a piede libero corrono affamate
in cerca di qualcuno
che soddisfi loro l’appetito
che riempia loro la pancia
che colmi loro il buco
che sia disposto a concedergli
tutto se stesso
Sempre più selvagge!
abbaiano e latrano
scoreggiano e bestemmiano
insultano e pretendono
Dammi una vangata! Dammi una
vangata!
la loro bava colante
ricopre le cappelle
ormai stanche e sudate
sanguinanti e spellate
giunte alla fine
di questa lunga
lunga
lunga
lunga
notte
…
25 anni nel cesso
tiriamo lo sciacquone
su questo mare di merdate
(La Decalogia
del Dolore)
CAP. I - Sei ancora qui
Sei ancora qui; ti nascondi negli angoli bui della mia
stanza e, come un avvoltoio famelico, rimani ad osservarmi – sento il tuo
respiro, ma non ho il coraggio di scacciarti –; quando poi mi addormento, mi
vieni vicino, sul letto in cui ti feci mia, una sera di giugno; un tempo,
quando ancora resistevo, sentivo soltanto il rumore dei tuoi passi nel
corridoio: ciabatte rosa, avanti e indietro, dalle due alle sei. Ma adesso,
adesso ho capito che non ne uscirò vivo: una di queste notti mi ucciderai, così
come io ti uccisi in quella calda e fottuta sera di giugno.
CAP. II - Sborra nera
Al cinema le sale sono sovraffollate; ti ho cercata
ovunque, ma non sono riuscito a trovarti: la cosa più triste è che sapevo che
eri lì… Sono uscito nella notte e tutto era così nero: le casediratto
lungo il viale, il volto d’una puttana all’angolo, i miei vestiti… la mia
anima… Questa volta ti ho minacciata più del solito; ma io ti amo, ho bisogno
di te: non capisci che sei tutta la mia vita? L’orgasmo è sempre più duro da reggere
– sborra nera – adesso che il muro s’alza d’una fila al giorno e il sole è
ormai tutto coperto.
CAP. III - La notte del rifiuto
Vivo in un oscuro seminterrato; per andare al
cesso, devo oltrepassare una stanza d’ospedale, dove vecchi malati si lamentano,
intubati, abbandonati su letti che nessun infermiere cambia mai; la scorsa
notte, mi scappava proprio forte, ma non potevo entrare: un paziente impazzito
bloccava l’accesso e, con un bastone in mano, minacciava d’ammazzarmi. Ho
telefonato alla mia donna, chiedendole aiuto; mi ha risposto un uomo, con voce
arrogante: “Smettila di spezzarci il ritmo, non ne possiamo più: a questo punto
siamo disposti a passare per vie legali!”… Costretto a tenermi tutto dentro,
non potendo scorporare, ho pianto disperato per l’insoddisfazione prolungata…
CAP. IV - L’amore è una questione di dadi
“È tutta colpa della sua famiglia, vero?”
“Sì, quei maledetti vogliono opporsi al nostro amore…”
“E dove la tengono rinchiusa, esattamente?”
“Nei sotterranei dell’albergo di cui sono proprietari;
tesoro dolce, vita mia, chissà quanto avrai freddo in quell’oscura prigione,
senza il calore del tuo piccolo paladino innamorato…”
“Questa è la seconda volta?”
“No… è la terza… L’ultima volta ci sono andato vicinissimo:
sono morto contro suo padre; quel vecchio porco mi ha castato
due fireball di fila… Questa volta, però, dovrei
farcela, ho perso un casino di tempo a livellare: dal 5 sono salito al 12!”
“Tanto decidono i dadi…”.
CAP. V - Tesoro, tanto tempo
Tesoro, tanto tempo, troppo tempo, tentando; tedio,
tristezza, turbamento, tumore, terrore, tradimento, telefonata, tensione,
trauma, tragedia; tatticamente ti tenevo tranquilla, temendo tumulti, testardo:
tutto tracollato… Tesoro, traviata, ti trovasti totalmente travolta – troia! –:
tana trapanata, tappata, tumefatta, tendini tesi, turpi trastullamenti,
tradizioni travisate, termini triviali, tavolo traballante; tornai troppo
tardi… Tesoro, ti temo tanto, tremendo tormento, tragicomico tramonto tombale,
taccheggiatrice tacciata: tutto ti tentava! Tesoro, troppi traffici, tu
tradisci tranquilla: tresche temporanee, transitorie trombate, tenerezza
tristemente tabuizzata… Tesoro, talvolta, travagliato, trucemente ti tartassavo
– tende tirate! –; tu, tremando, tramavi truffe, terribili trabocchetti,
torbidi tranelli, tattici trucchi… Tesoro, tanto tempo, troppo tempo, tentando…
CAP. VI - Cassonetto scassato
Cassonetto scassato, ho scavato un fossato per
infossare l’amore, mentre tu ridevi reagendo ad anni di soprusi, mandando tutto
in rovina, con in mano un paio spaiato di ciabatte insabbiate; stupito strappai
strenuamente quel paio spaiato dalle tue mani mollicce, poi stremato ti dissi:
“D’accordo, scordiamo l’orchestra!” e depresso decisi di desistere dentro. Ora
rincaso solo, soltanto il cane mi accarezza la notte: senza un senso sensato, è
finita di nuovo; fazzoletto sozzo ti sazio con figli sprecati: chiamali come
vuoi. Cassonetto scassato, ho scavato un fossato per infossare l’amore: non
l’avessi mai fatto, sarei ancora il tuo padre padrone.
CAP. VII - Scompigliare languide impressioni venatorie
… cancellini che si aprono se infili soldi in una
fessura: messi 180 euro; mia moglie: “Mettine pure altri, che importanza ha?
Fai 200, anzi: 210, via!” / “… t’entrano nella testa… usano un visore, roba
della Sony, un tempo era un videogame: vedi in prima persona dentro la testa
della gente, vedi ‘sta grande stanza, piena di cianfrusaglie: tutti i ricordi,
la cultura e il bagaglio d’esperienza che uno s’è fatto; puoi distruggere
tutto, in modo da rovinare un tizio e renderlo scemo, vuoto…” / mia moglie slinguazza l’amante alla luce del giorno: io, spensierato,
scherzo con loro e chiedo se c’è posto...
CAP. VIII -
IN FASE DI SCRITTURA
CAP. IX - La virgola mancante
“Ciao Gianluigi!”
“Ohi, come va? Tieni, questo è per te!”
“Oh, grazie! Beh, molto gentile, non dovevi…”
…
“Bene, dai! Cosa facciamo, allora… entriamo?”
“Mmmmhhh… sì, dai!”
“Prego: prima le signore!”
“Ah… ok… aspetta però, un attimo…”
“Dimmi…”
“Non chiudere la porta, per piacere, lasciala accostata…”
“O-ok… qualche problema?”
“No, è che… poi, potrebbe non riaprirsi…”
CAP. X - Quando saremo guariti
Quando saremo guariti
perché tanto prima o poi guariremo
allora potremo rincontrarci;
tuo padre avrà smesso di violentarti,
e il mondo apprezzerà i miei deliri;
le nostre vite avranno finalmente un senso:
capirai il mio dolore e i miei silenzi,
e io capirò tutto l’impegno
che mettevi in ogni singola cosa…
Quando saremo guariti
non permetterai più agli altri
di decidere per te;
io farò solo scelte giuste,
e non avrò più problemi
a dirti ti amo;
potrò guardare una lametta da barba
senza avere brutti pensieri…
Sto cominciando le cure per te:
aspettami, amore mio
non dureranno a lungo…
Mi hanno detto:
“Se vuoi conquistare una donna,
la cosa migliore è mostrarsi nudo
al suo cospetto”
Sì, sono proprio venuti a dirmi:
“Se vuoi che lei ti muoia ai piedi
la cosa migliore è svestirsi di
tutto
in sua presenza”
Mi sono spogliato nudo in un bar
gestito da una bella bionda
ma l’unica cosa che ho ottenuto
sono i suoi insulti
e gli scherni dei clienti
Il Piccolo Hotel mi ha sbattuto
fuori
perché la mia presenza
inquietava la cameriera
Non so se mi credi,
eppure il Piccolo Hotel
mi ha davvero sbattuto fuori
nonostante avessi già
pagato il mese
Quella piccola e dolce cameriera
non riusciva a sopportare
le tante ombre del mio sguardo
Il Lupo ha perso il pelo
e anche il vizio
la Signorina Casalinga
inventa nuove ipocrisie
la Pittrice Mancata
si fa sgrillettare dall’amica
accalorata
la Cuginetta Furbetta
si prostituisce su internet
Treccine D’oro
esiste solo se la sogno
la Terra Arsa dai Laghi Costellata
è stata scoperta da un altro
esploratore
Sunny
Marshout
ha abortito di nuovo
la Mia Tendinite
peggiora di giorno in giorno
ma il Falco, per fortuna,
è ancora là…
Ho imparato a disilludermi
non volevo più essere triste
proprio così
sono stato costretto ad
imparare a disilludermi
proprio perché
mi ero stufato
di essere triste
Pontesanto,
uccisa la mia passione in un pezzo di scottex
sciupati milioni di figli che mai avranno un nome;
non riesco a capire perché
dobbiamo essere così deboli
Pontesanto,
falsi ricordi creati per ricordare
assurda malinconia per un’epoca inventata;
unica prova della sua esistenza, un pezzo di scottex sporco
che galleggia dentro il water
Pontesanto,
le offese e le umiliazioni non sono dimenticate:
per il vecchio padrone sono un inutile lascito ai posteri
la rovina di una stirpe fino allora perfetta;
lui tutta la vita ha pensato solo a seguire ordini,
senza rincorrere inutili chimere
aiutato dalla mancanza di ambizioni
Pontesanto,
minuscolo insieme di case
tra le campagne della periferia imolese;
un paio di persone attende la morte,
vivendo la stessa identica giornata da anni
Pontesanto,
maggior attrazione turistica, le bestemmie
dei vecchi che giocano a carte al circolo;
un pazzo piange perché
vorrebbe con tutto il cuore,
ma è la mente a comandare
Pontesanto,
pubblico lavatoio dimenticato nel centro del paese,
lordato di graffiti e abbandonato da anni;
ormai le lavandaie sono tutte morte
e anche quella ragazza vergine e innocente non esiste più:
adesso ha capito come fare strada nella vita
Pontesanto,
ultimo posto che dovrei visitare,
soffri con me, piangiamo assieme;
percorro le tue strade e sono solo, rassegnato:
ho accettato tutto, adesso,
ho capito tutto, adesso;
sono un splendido esemplare di uomo adulto
che ha imparato la lezione
Se fossimo stati in due
le cose sarebbero finite meglio
ma io ero solo, sono sempre stato solo
anche quando ti stringevo fra le braccia;
ti confessavo i miei sentimenti come mai avevo fatto
e mentre ti guardavo negli occhi
non vedevo il tuo amore per me
ma bensì il riflesso del mio
Dunque, i miei amori terminano sempre
nelle stagioni meno opportune
quando il clima non può far altro
che amplificare il mio dolore;
pensandoci bene, potrebbe essere positivo:
almeno il tempo non mi piglia per il culo,
come invece hai fatto tu per ben due anni
Complimenti, ti meriti proprio un applauso:
mi hai usato per fare della mia debolezza, la tua forza
riscatto nei confronti di una vita ai margini
e adesso ridi, ubriaca a una qualche festa per truzzi
finalmente parte di questa società, una pecora tra le tante
mentre io lascio
che ogni mio dispiacere
mi scivoli addosso
ammazzando qualsiasi illusione
57 è il numero totale
me l’hanno mostrato
le mie ossessioni
57 è il numero finale
i fantasmi che mi tormentano
me l’hanno detto in sogno…
Io e la mia bambina
viviamo al numero 57
di via dei sogni infranti;
al mattino mi lascia solo
per andare a far la spesa
e ogni sera rincasa
con un amante diverso;
mentre lei lo soddisfa
mi obbliga a guardare:
signore, abbi pietà,
lo sai che non ho colpa!
Cerco di pensare
a qualsiasi altro numero
ma il 57 è subito lì, dietro l’angolo
e non c’è modo di lasciarlo…
“Ok, magari è momentaneo, poi se ne andrà”
ma è solo un’illusione,
e più passano le ore,
più me ne accorgo
Tesoro, abbassa una buona volta
quella maledetta gonna
così non ce la faccio più
e pure gli amici ora mi sfottono;
è dura scegliere di vivere
con una dolce Signorina Casalinga
ma non sono riuscito ad evitarlo:
quando l’ho vista, signore,
la mia testa ha smesso di ragionare
e ho capito che ero suo
Amore, ti prego,
chiudi le gambe
mi scoppia la testa
la notte non dormo
ma non piglio più pesci
perché ho la canna rotta
e l’ossessione del 57
rimarrà impressa nella mia mente
e mi accompagnerà per ogni giorno
che mi resta da scontare
in questo stanco mondo
Il giorno che G. ci lasciò
era la festa della mamma
una mimosa sporca di sangue
nella sua mano destra
l’ambulanza sotto casa, a sirene spente
non c’era più motivo per tenerle accese
io stavo al caldo, nel mio letto, al piano di sopra
facevo l’amore con una donna, godevo
e mentre venivo, G. se ne andava
...le dolenti note alla ceralacca
di Charley Patton
uscivano da un vecchio disco,
fondendosi con le urla e le risa dei bambini
nelle eterne serate della Via Nuova,
mentre correvo di sotto
nel cortile del vecchio Panzone Rigonfio -mio
nonno-
a giocare con l'unica vera donna della sua vita
la Dora, cagna suprema, che era viva e abbaiava al
vento,
e ti dava la mano, e le davo la mano,
e la sua era una stretta più sincera
di quella di qualsiasi essere umano...
ma la Dora morì, e si fece un funerale,
e il blues era una doccia di pioggia quel giorno,
e mio nonno scavava una fossa nel giardino sul
retro,
una vanga argentata e una catena dorata,
per calare la Cagna nel suo eterno sepolcro;
intanto piangeva e io gli dicevo:
"Nonno, la Dora è andata in paradiso
a correre con la sua mamma, la Nerina,
sta bene adesso, è felice"
"E un giorno in paradiso andrò anch'io"
mi rispondeva
"E armonica alla bocca
chiamerò la Dora,
lei mi correrà incontro,
e forse allora la pioggia cesserà";
la pioggia continuò per anni e anni,
bagnando tristi pomeriggi di vuota esistenza,
in cui rinchiuso come un carcerato a Folsom Prison,
me ne stavo, nell'olocausto psicopatico
del centro sanità mentale, con un ago in vena,
e divenne acquazzone una mattina d’autunno,
con nonna che urlava impazzita
e i telefoni che squillavano alle tre (ora fatale)
e quel poco di luna che c’era,
la sua luce rifletteva, dalla finestra,
sulla lama della falce che la morte calava
su mio nonno, la vittima;
la vittima (Oh, povera la vittima!)
quindici anni dopo reincarnata
e rinchiusa appena nata
in una gabbia di vetro, con un buco in cuore,
e l’altro nel palato,
il gran calvario d’ospedale in ospedale
per mesi e mesi,
quando Faenza più non era un vicolo del cazzo,
ma un ospedale del cazzo,
e io c’avevo solo il blues che mi consolava,
l'antico lamento funereo dei vecchi crocevia,
dal Texas al Mississippi, sulla Highway 61,
lo cantavo con la mia chitarra scordata,
come faccio ancora adesso, questa sera,
rifugiandomi nella malinconica melodia
dei felici anni d'esordio,
quando ancora c'era un senso,
cantando la scala grande davanti alla mia casa,
dove in estate ci stavo sotto perché c’era l’ombra,
seduto sulla sedia bianca o anche per terra,
a guardare davanti a me le case,
le case di Borgo Tuliero,
e tutto era ancora così lontano,
aspettando mio cugino per giocare...
e il sole ti picchiava in testa
e ai bimbi serve il cappello
e mio babbo mi costruiva case di cartone con vecchi
scatoloni
e siccome era estate c’erano le api che pungevano
e poi piangevi
ma in inverno ci stavano i topi
che quelli mordono
e disegnavamo mappe del paese per esplorarlo in
ogni angolo
e col bastone cacciavamo i cani che volevano incagnarsi la Dora in calore
e mi caricavano sulla sua schiena mentre mi
scattavano fotografie in bianco e nero
e quando calava il sole
si andava a danzare in mezzo alle lucciole
nel giardino sul retro della casa di Nando
e tutto tutto tutto ripeto tutto era aperto al domani...
...un giorno me ne andrò anch'io finalmente,
e quando questo accadrà,
dite soltanto che ho cantato
il blues della mia vita...
Avevo una vecchia autoradio
Avevo una vecchia autoradio
mi cantava il blues
da
mattina a sera
Era un sorpassato modello a cassetta
Era un sorpassato modello a cassetta
ma giuro, tesoro
era
tutto quello di cui avevo bisogno
L’inverno ghiacciava i miei finestrini
ho detto
L’inverno mi ghiacciava i finestrini
e mi arricciava il cofano
ma, perdio, non sentivo freddo
grazie alla mia vecchia autoradio
Mi svegliavo alla mattina
e il suo canto mi scaldava
giuro che
Mi
svegliavo di mattino
e il suo canto mi riscaldava
canticchiavo quelle note
e mi sentivo soddisfatto
ripeto
canticchiavo le sue note
ed ero così soddisfatto
Ma un giorno la mia vecchia autoradio
smise di cantarmi il blues
sì,
La mia amata vecchia autoradio
smise di suonarmi il blues
e sospirai, ok, i tuoi giorni
son finiti
ti
farò un funerale a ritmo di Jazz
Scavai una buca per la mia
vecchia autoradio
sì,
ho detto che
Scavai una buca per quella mia
vecchia autoradio
ve la calai con una
catena dorata
cosicché la gente possa dire
quella era l’autoradio di un ricco
l’autoradio di un uomo ricco
E
adesso l’inverno
mi ha crepato il finestrino
Oh dio,
L’inverno mi ha
accartocciato il cofano;
sono una vecchia automobile
che non sa più cantare
La mia carne di suino è andata a
male: ha fatto i vermi!
ti ho detto che
La mia bella e succosa bistecca di
puro suino
è scaduta: bigatti bianchi
strisciano al suo interno!
In fondo dovevo aspettarmelo: era
fuori frigo da due anni e mezzo!
Sono stato nelle praterie del sud,
dove ho imparato che là
la campagna è troppo piatta
ti ho detto che
Sono stato nelle sconfinate praterie
del sud,
ma sentivo la nostalgia delle mie
colline
Sono tornato una mattina di ottobre,
ma la vista della mia terra
non mi ha tirato su il morale…
Avevo una donna a Ravenna: mi
tradiva tutto il giorno!
ti sto proprio dicendo che
Avevo una donna a Ravenna: faceva la
furbetta da mattina a sera!
Le ho insegnato ad amare e lei ha
ricambiato
insegnandomi a blueseggiare
Mi sa che me ne vado dalle cinesi, a
farmi fare robe pese
guarda, non so il tuo pensiero,
Ma me ne corro dalle cinesi, a fare
robe turche
Tornerò a casa entro mezzanotte,
così il mio cane non si preoccupa
Lui dice che non è vero
sono solo scuse
perché sono un lavativo
e non ho voglia di faticare
ma lui non sa
non può capire
l’angoscia che mi prende
quando solo e abbandonato
in mezzo al buio della stanza
mi raggomitolo nel letto
col fiatone che m’assale
e tutto il dolore
- l’estremo dolore -
scivola giù dalle mie braccia
e si ferma
sulla punta delle dita
mi sbattevo
ad una festa
strusciand’il pacco
contr’il culo
d’una
qualche tipa
ma
non che
fossi
troppo
felice …
ci vedevo
abbastanza
quadruplo
e siccome
mi colse
la nausea
scarabattlai di là
in cucina
(la tipetta si voltò
non mi vide più
e su un altro
pacco
si consolò)
è di là
in cucina
che c’era la
festa!
tutti
deliranti
sbavando sul
tavolo
bianchi
bianco
anch’io
eravamo
soltanto
un mucchio
di cadaveri;
voltandomi
sul
lavandino
lo riempii
di vomito
e mi pare
mi tirai
giù i
calzoni
e pisciai
sul
pavimento
o
forse
confondo
e fu il mio
vicino
a pisciare
comunque
qualcuno
pisciò
perché la
stanza si
riempì di
puzzo
d’urina
-d’urina alcolica-
e mi misi
a ridere
mentre
una discreta
gnocca
sulla porta
mi chiese
le
credenziali
“ mon amùr
vieni a
sdraiarti
sul divano
con me
e ti
preparerò
al futuro”
le dissi
e quella
mi seguì
tutta
contenta
(fighetta furbetta
dall’alito spermico
quanti lavori di
bocca
hai fatto
ai chierichetti
di S. Battista
prima d’esser
qui
stasera)
e poi
là così
sul divano
abbracciati
le stringevo
una tetta
nella destra
e una
lattina
-birra strana-
nella
sinistra
ma ancora
pensavo a me
stesso …
mi sembra
tutto così
assurdo
ricordando
qualche anno
fa
tutto quello
che
c’è stato
e
mi ha
ridotto
così
sì ma
io non ero
quello
no
io sono
questo
sono un
cadavere tra
cadaveri
nelle feste
all’urina
alcolica
e
all’alito
spermico
e
alle mani
sulle tette
(come la sua
gonfia
di voglia)
io
ora
ripenso a
tutto
e rido …
Moro lo
sapeva
quando
ha detto
ch’è
difficile
dedicare
una vita
al lavoro
nelle
aziende agricole
nei campi
e le banche
che fottono
-sotto di
quattromila euro-
e
la crisi
dell’Italia
in crisi
ormai
è un
luogo comune
e ho fatto
un figlio
nei tempi
di crisi
nato in
un’Italia
di crisi
e quindi
mi rintano
qua
tra una
birra
strana
e una tetta
gonfia
che mi
arroventa la
mano
e mi
stimola
il pacco …
qualche
troia
s’è tolta la
maglia
per mostrare
il seno
e
sentirsi
importante
e tutti
ballano e
sudano;
anch’io
mostro
il seno
alle troie
ai cadaveri
all’Italia
in crisi
alla birra
al vomito
del lavandino
all’urina in
cucina
e
alla
fighetta furbetta
che ha
ridato la
vita
al mio
bassoventre
depresso …
più tardi
su in camera
le darò
ciò che
vuole.
Tutto è
perfetto
Tutto è
perfetto
nel dolore
e
negli errori
e
in ciò che
ho perso …
Moro lo
sapeva
e penso
d’esser il
primo
che
l’ha scritto
in una
poesia
Nel grande stanzone puzzolente
i malati deliravano seduti uno
accanto all’altro
i pavimenti e le sedie erano coperti
di merda
i loro volti erano coperti di merda
il naso e la bocca di colore marrone
e si baciavano in bocca fra di loro
si leccavano il volto fra di loro
donne con donne; uomini con uomini
grosse vespe con scintillanti
pungiglioni neri
svolazzavano ovunque
gli infermieri correvano avanti e
indietro
scivolavano sulle loro feci
sguazzavano nelle loro feci
le mascherine e i camici verdi
insozzati
cercavano di scacciare le vespe
cercavano di non farsi pungere
ma le vespe erano troppe, ed erano
così grosse…
Un giovane missionario, forse appena
ventenne
reggeva un catino sotto la bocca
di una ragazza piegata in due
che vomitava sangue misto a grumi di
merda
in fondo alla stanza, i dottori
urlavano
cercando di placare un’orgia in
corso;
io me ne stavo sulla porta
lo spettro di mia nonna era al mio
fianco
schifato da tutta quella merda
nauseato da tutto quel puzzo
spaventato da quella trasgressione
non riuscivo ad entrare;
c’era bisogno di una mano
Dio mi stava chiamando
ma non avevo ancora il coraggio
di piegarmi al suo volere…
Sconfitto, lasciai l’inferno ai
valorosi
e mi incamminai lungo il corridoio
dell’ospedale
– mia nonna mi seguiva, scuotendo il
capo –
in una piccola stanza alla mia
sinistra
una paziente sui trent’anni
camminava avanti e indietro;
tirandosi i capelli biondi,
sghignazzava e poi piangeva;
era nervosa, perché la stanza con la
merda le mancava
ma ne stava uscendo: fra poco
l’avrebbero trasferita
alla destra del corridoio…
Molte persone ne erano uscite
molte persone ce l’avevano fatta
e adesso sorridevano beate
dalle foto appese ai muri verde
scuro:
c’era ancora una speranza, quindi…
La paziente nervosa, non appena mi
vide,
mi corse incontro e mi abbracciò,
ridendo e piangendo
cercando un po’ di affetto, un po’
di comprensione
e ad un tratto pensai:
“Sembra la Giulia, ma fra qualche
anno…”
e forse era la Giulia fra qualche
anno
forse anche lei, un giorno, smetterà
di necessitare
della stanza con la merda…
Accolsi tra le braccia quella povera
creatura
le baciai le orecchie e le guance
che ormai non sapevano più di merda
la guardai negli occhi e le dissi:
“Ci vuole ancora tempo,
ma non è detto che il coraggio
mi mancherà in eterno…”…
Dieci minuti dopo, seduto in sala
d’attesa,
mi guardavo le mani e pensavo
mentre lo spettro di mia nonna
chiacchierava con la paziente bionda
che ora si era calmata molto;
passò un venditore ambulante di
colore
richiamò la mia attenzione
mostrandomi un libro:
“Ciao amico, come andiamo? Vuoi,
amico?”
gli risposi di no, che non avevo
soldi
“No no, amico, io regalo, regalo!”
stupito, presi il libro tra le mani
e colto dai rimorsi
insistetti per pagarglielo:
non accettò e scomparve, uscendo dall’ospedale;
ancora incredulo, ma stranamente
euforico,
cominciai a sfogliare il libro…
Mi hanno regalato una pipa per
Natale
Mi hanno regalato una pipa per
Natale
Una bella pipa in legno, di buona
fattura
Non bisogna essere tristi, non
bisogna stare male
Mi hanno regalato una pipa per
Natale
Mi hanno regalato una pipa per
Natale
Il giro del Monte è solo
un’illusione
Fingono interesse e basta, solo
questo e basta
Mi hanno attirato fuori dall’auto
Dicendo che dovevo smetterla di
stare male
Poi quando sono tornato, sul sedile
del passeggero,
C’era il mio regalo di Natale:
Era una pipa, una pipa, una bella
pipa
Mi hanno regalato una pipa per
Natale
Mi hanno regalato una pipa per
Natale
Tutto andrà per il meglio: io non
sto più male
Perché
Mi hanno regalato una pipa per
Natale
Una pipa per Natale
Natale
Uscimmo
dalla casa che fuori era già buio;
aspettammo
un attimo in giardino – fumando –
che anche
Calipso finisse e ci raggiungesse.
Sputai per
terra e per poco non presi le scarpe del mio compagno;
mi doleva un
dente, ma il dentista era a Faenza
e Faenza era
lontana…
Calipso uscì
e finalmente ci raggiunse;
le avevano
sporcato i capelli e la guancia sinistra
ed era
bellissima – la chiamavano così
perché aveva
fatto per nove anni l’amore con un tale
sposato e in
esilio –; niente stelle, la luna era mezza
la strada di
terra un poco infangata
piovigginava
appena e la nebbia scendeva – soffrivo tanto –
Ci mettemmo
in cammino; le mie scarpe sarebbero diventate
nere prima
di raggiungere il paese, che comunque
già
s’intravedeva a fondo valle.
Calipso
inciampò e il mio compagno la prese al volo;
le guardai
le tette, mentre si ricomponeva
– non devo
vedere certe cose, non ce la faccio –
“Avanti
gente, ch’è ancora lunga!”
Qualche
altro metro e si fece la notte;
guardavo i
campi, le montagne sullo sfondo
– pensai –
“Un giorno sarò là”… ma a volte, di notte mi svegliavo
e il fiato
mi mancava.
Il mio
compagno si fece scuro; s’avvicinò
“Non ti dirò
mai più fottiti...” mi disse,
ma era ovvio
che ormai c’ero dentro fino al collo…
Scrollai il
capo “Forse Calipso non ce la fa più, stalle accanto”
risposi
secco, e lui tornò al suo fianco.
Lei ora
zoppicava; io non potevo più guardarla:
era bambina
a Borgo Tuliero, e così voglio ricordarla…
– EEEEEEK –
uno strillo di poiana volava sopra la mia testa:
sono
abituato alle cose che volano dentro la mia testa, non sopra
… ma prima o
poi finiranno, finirà tutto;
Michael ha
comprato una carabina per difendersi dalla gente impazzita,
quando la
rivolta scoppierà, e andremo su al Rifugio dell’Anima
insieme a
Pelle di Lupo, vegliati dal sacro spirito di falco, Moral
ed io avrò
un revolver e difenderemo a ferro e fuoco il nostro fortino
… però,
adesso, è ancora presto…
Ci fermammo
un’oretta circa, perché a Calipso sanguinavano i piedi;
il mio
compagno con un fazzoletto glieli asciugava, ma non bastavano
– non
bastano mai – e lei si tenne i suoi piedi insanguinati.
“Se ti
bruciano, soffiaci sopra!”
il rancore
insensato che leggeva nei miei occhi, la scoraggiò
ma non
glielo spiegai mai, non avrebbe capito; nessuno può capire.
Quando ci
alzammo, non ci fermammo più finché non giungemmo in paese
e il paese
non sembrava proprio aspettarci
con le sue
finestre sbarrate, luci spente e l’aria di cose morte
ma trovammo
lo stesso una camera ad un ostello
e comprai
due bottiglie da un litro di birra
e buttato là
sul pavimento, me le scolai, mentre sul letto
il mio
compagno curava le ferite di Calipso, nel modo che cura ogni male
e quel
dannato d’un letto gniccava,
mentre lui ansava
ma Calipso
non aprì bocca – evidentemente, l’aveva già aperta troppe volte –
comunque
m’addormentai, scolando birra sul pavimento…
… anche
adesso m’addormento scolando birra sul pavimento
mentre sramasso qua le ultime boiate;
oggi è stata
una pessima giornata, cominciata in blu
col blues di
Blind Lemon Jefferson, alle
sei del mattino
rincasando
da un ingrosso di paste, che i commessi ti danno
colle mani
lorde e sudate
– penso – il
tempo di cambiare l’ho avuto
ma stava
agli altri farmene render conto
e Calipso è
morta, per quanto mi riguarda…
Una pessima
giornata cominciata in blu
col blues di Blind Lemon
Jefferson
non può che
finire col blues di Gianluigi Valgimigli
– onesto –
Francesca,
il nostro
bellissimo sogno d’amore, iniziato per la corda di una chitarra spezzata
fuori nel
vicolo, di fronte all’albergo – Cesenatico – ragazzi di colore suonavano in
strada
io suonavo
con loro, avevo la barba lunga e il cappotto non riusciva a coprirmi
dalla fredda
brezza che dal mare viene, quando scende la notte…
La prima
volta c’incontrammo così: scendevi le scale lentamente, per farti ammirare
e pareva
proprio che tutti suonassimo per te; cosa importa se già un uomo
ti scaldava
i piedi sotto le coperte della stanza trentaquattro?
Eri così
bella che solo lui non poteva bastare…
Non appena
mi passasti accanto, la mia chitarra perse il si
“Oooooooh, non sarò stata io, di grazia?”
“Mia bella
signorina, non ne abbiamo sicurezza, ma è certo che lei è bella
e potrebbe
in questo modo, aver scioccato la chitarra; comunque sia o non sia
mi inviti
fuori a cena e scorderemo l’accaduto!”
E iniziammo
a camminare per le vie che vanno al mare e al pomeriggio
ti amavo
ferocemente: dentro te, la mia passione filava liscia
la tua,
bagnava le coperte della stanza trentaquattro;
un secondo
al bagno per lavarsi, e via, via, giù in spiaggia a farle pese!
Mi
aggrappavo a te, ti infilavo una mano sotto la maglietta nero lucido
che
indossavi sempre, mentre tu ridevi e chiedevi un bacio
“Ed io, mia
cara, che pensavo, siccome tu già di un altro eri
e
soprattutto più grande d’undici anni, che mai e poi mai
avresti
prestato nota a un barbone quale io sono!”
“E tu, mio
caro, pensavi molto male, siccome io già t’amo
e voglio
farti d’amante, d’amica, da sorella e da madre!”
E allora
fammi da tutto questo – sporco mondo! – fammi pure tuo del tutto
perché già
da troppo tempo, ormai, io non sono più di nessuno
e ho perso
la mia voce, ma tu me la puoi ridare!
E
continuammo, e passò un mese e io ti amavo troppo
avevamo il progetto
di volare in deltaplano lungo tutta la costa
fare in
cielo ciò che in terra toglieva troppo tempo al nostro amore
ma mai
saremmo riusciti, perché tutto finì una domenica sera
al
ristorante del tuo albergo: cena di lusso con minestra di pesce e alghe;
c’era pure
quella stupida della mia ex che, abbracciata a suo padre,
moriva verde
d’invidia nel vederci così uniti.
“Vedi, caro,
in un piattone ti portano due tipi di minestra mischiati
e ciò mi fa
incacchiare non poco! Ce n’è un tipo verde con alghe e
un tipo
rossa, con peperoncino e gamberi: ecco, quella rossa mi fa
prudere
tutta, qua sotto, se anche solo la sfioro con la punta della
mia rosea
lingua; perciò, son costretta a dividere il tutto, minuziosamente,
ogni volta, eccheccaspio!!!”
Io, al
contrario, ci davo dentro in quella rossa, quando d’improvviso
m’accorsi –
sarà forse stato il peperoncino? Mboh… chissà… –
che tutto
era finto, che il ristorante era finto, che la gente era finta
che la mia
ex era finta, che la minestra era finta e che tu – che dolore, il mio cuore!!!
–
che tu eri
finta: era stata solo l’ennesima presa in giro, l’ennesimo scherzo
del telefono
che suona e quando alzi la cornetta, risponde sempre e solo
una voce
registrata; non potevo sopportarlo, non un’altra volta
e mi alzai
di scatto in piedi, corsi via velocemente contro il vetro del ristorante
rompendo il
vetro del ristorante, che tanto era finto, e presi il largo
via, via,
via, verso il mare – la tua voce cercava di fermarmi, alle mie spalle,
ma già non
badavo più alla trappola dannata – verso il mare e
verso
l’oblio che ci conforta, quando la vita ci ha segnati e
ridendo, ha
deciso che siamo i suoi giullari.
Incontri
notturni negli oscuri parcheggi faentini
Quando
spegni la luce
nel buio
sono tutti
uguali
uomini e
donne
sono la
stessa fottuta cosa;
con lo
schifo in cuore
ho camminato
in mezzo
a una strada
di campagna
nel buio più
totale
affogato nel
nero
e ho pregato
il signore
“Oh, mio
buon Dio,
afferra le
mie mani
e portami
lassù
qua c’è
tanta merda, tanto puzzo
sono un tipo
troppo raffinato
per
sopportare tutto questo”…
Domattina
vomiterò nel
cesso
tutto lo
schifo ingoiato
e sconfitto,
stanco e disilluso
mi
stravaccherò sul letto
aspettando
che le mie preghiere
vengano
esaudite
Quando ti
portammo dentro, non riuscivi a reggerti in piedi;
ci venne
incontro un’infermiera bassa e anziana e ti fece sedere su una carrozzina un
po’ scassata
– tua madre
piangeva e tuo padre fissava il pavimento, severo e muto come sempre;
entrambi mi
odiavano: la prima, perché ero stato io a chiudere la porta a chiave,
il secondo,
semplicemente perché ti amavo… –
Lungo il
corridoio, diretti alla tua stanza, le ruote della carrozzina cigolavano e
tremavano;
il piccolo
corteo funebre, seguiva la morte della tua mente:
l’infermiera
portava la carrozzina, tuo padre le camminava accanto,
in prima
fila come sempre,
con tua
madre che gli trotterellava dietro,
piccola
stupida cagna fedele,
mentre io, a
qualche metro di distanza,
mi fermavo
ogni tanto a fissare i graffiti che infestavano i muri, un po’ ovunque;
muri vecchi
e crepati, su cui la monotonia del bianco sporco, ogni tanto,
era
interrotta da qualche schizzo nero, rosso, giallo o verdastro:
esseri
deformi, sgorbi indefiniti e scritte, tante, tante scritte, flussi di coscienza
usciti da menti malate e vomitati lì sopra;
non so se fu
colpa della stanchezza per la notte insonne, o se forse anche la mia pazzia
cominciava a manifestarsi,
ma tra
quelle scritte fui sicuro di vedere il mio nome e corsi dall’infermiera a
riferirglielo:
lei mi
rispose grattandosi il naso e sistemandosi gli occhiali.
La tua
stanza non era molto diversa da quelle di un comune ospedale,
con un
grosso letto singolo al centro, due comodini ai lati e un armadio a doppia anta
azzurro scuro, vicino alla finestra;
di
quest’ultima, mi infastidivano le sbarre, lunghe e spesse…
Quando ti
fecero stendere sul letto e ti attaccarono la flebo,
quella
stupida di tua madre scoppiò nuovamente a piangere,
forse
trovandoti brutta, così bianca, spettinata e struccata;
nonostante
il biondo acceso dei tuoi capelli, fosse ormai irrimediabilmente sbiadito,
per me eri
sempre la cosa più bella di questo mondo,
ma sapevo
che non avrei più potuto stringerti tra le braccia, almeno non come prima.
Schifato da
tua madre, infastidito dalle sbarre e confuso dal mio nome su quel muro,
decisi di
uscire a farmi un giro;
di nuovo in
corridoio, le porte erano tutte chiuse, ma in fondo,
alla mia
sinistra, una rampa di scale scendeva al secondo interrato.
I gradini
erano bagnati e scivolosi, ma non c’erano cartelli ad indicarlo,
e più
scendevo, più l’aria si faceva umida;
dalle
stalattiti sul soffitto e dalle pareti rocciose, capii di essere entrato in una
specie di grande grotta:
quaggiù,
radunati nella conca centrale, decine e decine di pazienti in camice bianco,
schiamazzavano
liberi e giocavano fra di loro, si rincorrevano, ballavano, saltavano gioiosi,
si tiravano
i capelli e si schizzavano con l’acqua delle varie pozze sul pavimento;
potevo camminare
tranquillo in mezzo a loro, non sembravano accorgersi della mia presenza,
un fantasma
in mezzo ai pazzi…
Una ragazza
dai capelli marrone scuro, a caschetto, mi passò davanti saltellando e
canticchiando:
la trovai
molto graziosa e uno strano senso di malinconia, mi spinse a seguirla;
entrammo in
un buco su una parete, grande quanto una porta, che conduceva a un laghetto
sotterraneo,
abbastanza
grande perché cinquanta persone ci facessero il bagno contemporaneamente,
e lei
cominciò a spogliarsi, dandomi le spalle; completamente nuda
– mi faceva
una gran tenerezza, così piccola e indifesa, come una bimba,
come il mio
amore nascosto a Borgo Tuliero, quando avevo solo
dodici anni –
si tuffò e
cominciò a sguazzare allegramente nell’acqua;
la lasciai
al suo piacevole bagno e continuai il mio cammino…
– TERZA PARTE, TERZO PIANO INTERRATO: LA STAZIONE DEI TRENI
SOTTERRANEA,
PAZIENTI CHE PARTONO E NON TORNANO; SOLO PARTENZE, NESSUN
ARRIVO –
Il terzo e ultimo interrato, è una piccola e vecchia stazione
sotterranea,
e in questa stazione c’è solo una tabella: quella delle
partenze.
Ci si arriva attraverso un ascensore scassato e traballante,
che pare debba precipitare da un momento all’altro,
ma silenzioso, non emette alcun suono
– l’intero luogo è avvolto dal silenzio più totale, nemmeno
i movimenti hanno più rumore –;
la prima cosa che salta all’occhio non appena si esce
dall’ascensore,
è la lunga coda di pazienti (muti come pesci e a capo chino)
in attesa di partire,
incolonnati davanti a una biglietteria (una specie di cabina
arrugginita, pare vecchia di secoli)
da cui spunta una grossa mano rivestita da un guanto bianco
in lattice
– emerge letteralmente dalle tenebre per consegnare il
biglietto ai pazienti in coda,
nessuna voce, nessun corpo, nessun volto si lega ad essa,
e all’interno della biglietteria solo il buio più totale;
da una parete d’oscurità simile, fuoriesce il binario, che
passa davanti alla piccola stazione,
per poi scomparire, nuovamente inghiottito da un mare nero
–.
I muri sono perfettamente bianchi, come i camici dei
pazienti,
e il pavimento è rivestito di piastrelle verde scuro;
la tabella delle partenze, si trova davanti al binario, in
mezzo a due panchine di legno non verniciato…
… finché non
raggiunsi un grosso ascensore di metallo incastrato tra due rocce;
all’interno
della cabina, un grosso pulsante rosso e basta.
I lettori di
questa mia disavventura notturna, avranno già compreso di quale ascensore si
tratti e dove conduca,
perciò andrò
direttamente al punto: giunto al terzo piano interrato,
rimasi un
attimo ad ammirare, incantato, i pazienti in coda davanti alla biglietteria
(che non
riuscivo a guardare, troppo inquietante…):
se ne
stavano lì, muti, a testa bassa, gli occhi fissi sul pavimento;
arrivato il
loro turno, alzavano meccanicamente un braccio per prendere il biglietto e,
sempre a
capo chino, si posizionavano davanti al binario, uno al fianco dell’altro;
nessuno si
sedeva sulle panchine.
Nonostante i
brividi e il gelo alle ossa, decisi di farmi coraggio e di avvicinarmi alla
tabella delle partenze,
curioso di
sapere cosa ci fosse scritto;
stupito,
rimasi a bocca aperta,
a fissare le
parole stampate sul cartellone;
non potevo
credere a ciò che i miei occhi stavano leggendo…
Faenza, una notte di ottobre del 2017; gloria eterna agli
scrittori di serie B!
Mi avevano detto che era cambiata
Elisa violentata
Calze a rete da puttana
In minigonna a qualche fiera nerd;
Un tempo al catechismo
Istruiva i bambini sui dogmi della chiesa
Adesso al catechismo
Istruisce il prete sulla futilità della chiesa
Posso immaginare sia rimasta delusa
Elisa violentata
Votata alla castità nel nome di S. Giovanni
Battista;
Tutti gli anni passati a tutelare qualcosa
Sprecati nel giro di due minuti
Sulla sabbia bruciante di una spiaggia deserta;
tutto è stato inutile, ‘fanculo a S. Giovanni
Battista!
Ogni tanto la becco in giro
Elisa violentata
Sta giù allo Spider a indurirsi di birra,
È una specie di darkettona
e fuma coi punkabbestia;
A volte torno a visitare S. Giovanni Battista
Sperando di vederla seduta su una panca,
ma poi ricordo di essere l’unico
che non è mai cresciuto
ed è per questo che sono solo
Quel
pomeriggio che era un caldo boia
Un cane pisciava su un lettino rovesciato
Le loro mani sudate ammazzavano ciò in cui credeva,
lei, piangendo, fissava il mare
e sentiva l’orchestra in piazza intonare
“Rimini bella, io voglio tornare”…
… non credo che tornerà più…
Sono quattro notti che non dormo
E mi sento un dio
Potrei stare anche ore
A pulire il tuo sangue dalla vasca da bagno;
Dovresti però trovare il modo
Di suicidarti in maniera pulita
Non sempre capita la fortuna
Di beccare il polo giusto
INSONNIAAAAAAA!!!!!
Sto lavorando per entrambi
Il tuo disgusto a volte è ingiusto
E se è vero che io sono un uomo
Che ha pregato poco
Allora tu sei una donna che ha pregato decisamente
troppo
Sempre inginocchiata davanti
A qualche povero Cristo;
È tutta colpa del tuo spirito zingaro
Se non trovo un motivo
Per far tacere la mia testa
INSONNIAAAAAAA!!!!!
Baciarti in bocca ha un sapore strano
È come bere un cocktail di catarro e sperma
È come finire in un fosso a Porto Corsini alle 4 di mattina
È come illudersi che tra di noi
Può esserci ancora sesso senza violenza;
Ho già scritto tutto anni fa
È da tempo ormai che recito un copione
Però voglio ancora resistere: non me ne andrò
finché non avrò cagato sulla tua tomba!
INSONNIAAAAAAA!!!!!
Cara piccola
D
Hai lasciato
un po' di te
In questo
fazzoletto sporco
E io ho
lasciato un po' di me
In quello
sputo dentro al cesso
Tanti anni
buttati invano
Per ottenere
altro tempo da buttare:
Questa è la
vita!
Un vecchio
microfono di scarsa qualità
Per una registrazione
piena di disturbi e rumori di sottofondo;
Mentre canti
la tua canzone,
Puoi
impegnarti, dare il massimo,
Ma alla fine
solo quei disturbi spiccheranno
Cara piccola
D
Alla fine
non c'era proprio nulla
Come sempre,
avevo ragione io
Il solito perfetto
muro bianco
Solo lo
sfogo di una sera
La voglia di
sperimentare e basta
La voglia di
trasgredire e basta
Questa è la
vita!
Un vecchio
microfono di scarsa qualità
Per una
registrazione piena di disturbi e rumori di sottofondo;
Mentre canti
la tua canzone,
Puoi
impegnarti, dare il massimo,
Ma alla fine
solo quei disturbi spiccheranno
Cara piccola
D,
ormai non
c’è più via di scampo
la mia vita
è un insieme di rapporti
in cui solo
la carne vince
e ci si
scorda di tutto il resto;
eppure anche
il mio letto è stato caldo
in un tempo
in cui le cose potevano ancora cambiare
Sì, ma
questa è la vita!
Un vecchio
microfono di scarsa qualità
Per una
registrazione piena di disturbi e rumori di sottofondo;
Mentre canti
la tua canzone,
Puoi
impegnarti, dare il massimo,
Ma alla fine
solo quei disturbi spiccheranno
Al largo andremo ancora
Al largo
andremo ancora
come la
notte in cui dipinsi
la tua rosa
bianca di rosso;
e tornerò a
sognare
le estati
laggiù in Messico
quando
bastava un tuo sguardo
a illudermi
d'aver vinto
e a te
bastava un dolce rimpianto
a illuderti
d'aver dato:
da allora
sono stato molto male
ma non ho
mai avuto
la pretesa
di scordare...
Al largo
andremo ancora
la barca
sarò io
la vela
sarai tu
niente remi
e niente ancore:
solo un
triste cuore alla deriva
come unico
passeggero.
Dan
È tutto
finito – di nuovo;
la mia
Regina Cinese
era solo un miraggio…
Salute!
Da oggi sono
tornato
il solito
amante fallito;
e Tu,
per questi
vuoti e inutili anni
che mi
restano da scontare,
svetterai
dalla cima del tuo Tempio Cantonese
sulle
montagne di Hong Kong
orgogliosa
di aver distrutto
un cuore
occidentale.